TEATRO E ALLUSIONE

Vezio Ruggieri  *

"INfomazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria", n° 31, maggio - agosto 1997, pagg. 56-73, Roma"




 

Il gioco del teatro consiste nel "dar corpo" all'immaginazione, dell'autore e dell'attore, che si tratti di un gioco di pura immaginazione irreale è evidente! Un attore immagina di essere per esempio Napoleone, ma sa benissimo di non esserlo. Eppure deve farlo credere. Si tratta tutto sommato di un grosso imbroglio in cui il pubblico è complice. Lo spettatore infatti va a teatro col preciso intento di "farsi imbrogliare", di fingere di credere che quel signore sulla scena, che in realtà è il vicino di casa, sia invece Napoleone!

Si tratta di un gioco condiviso in cui anche l'immaginazione dello spettatore ha un ruolo importante.

Ma il punto perno dell'operazione è sempre l'immaginazione dell'attore. L'attore dunque gioca a "fingere" ma è essenziale che sia in qualche modo onesto con se stesso!

L'onestà è legata alla chiarezza con cui immagina, all'evidenza della realtà immaginativa.

In un altro lavoro abbiamo messo in evidenza come la percezione reale acquisti significato solo se collocata nel contesto del tessuto immaginativo del soggetto decodificante.

Già Neisser (1981) aveva parlato di "schemi mentali" come modulatori dei processi percettivi. Per esempio se "percepisco" il mio interlocutore, la percezione attuale si collega alla rappresentazione interna che ho dell'altro in questo momento. "Io immagino" che chi mi sta di fronte sia un "collega"...

Questa ipotesi immaginativa è confermata continuamente da elementi di informazione che il "presunto" collega invia...

Se io pensassi (immaginassi) che il mio interlocutore è in realtà un falsario millantatore, sulla base di questa mia "rappresentazione mentale" focalizzerei l'attenzione (che è un altro importante modulatore del processo percettivo) su altri elementi-segnali da lui prodotti, per un'eventuale ulteriore conferma della mia ipotesi.

La mia ipotesi immaginativa modula anche le mie risposte...

Quindi l'attività reale è assolutamente modulata dalla immaginazione!

Non è già teatro, questo? Quale è la differenza tra teatro e realtà? Innanzi tutto ci chiediamo: come fa l'attore a far credere che ciò che sta rappresentando sia reale? Aumentando l'evidenza della sua immaginazione interna. Non abbiamo detto che è l'immaginazione che modula l'attività reale? Quanta realtà discende dall'immaginazione!

Ora noi pensiamo che l'attore mediocre pensi di poter scavalcare questo fondamentale passaggio. Forse pensa di poter "dire" o "fare" senza alcuna "immaginazione" di ciò che dice o fa.

Il secondo punto della nostra discussione verte intorno al nostro concetto di immaginazione. Essa è per noi un ampio processo che, lungi dall'essere esclusivamente mentale, investe tutto il corpo. Per esempio l'immaginazione di un gesto è costituita da una microproduzione di un gesto. Tale evento corporeo non è clamorosamente visibile; è appena accennato, nascosto dal complesso dei gesti "reali" e dalla modulazione delle tensioni posturali. Inoltre è stato messo in evidenza come, se si chiede ad un soggetto di immaginare, o di ricordare immaginativamente, egli tenda a muovere gli occhi verso l'alto e lateralmente. Noi abbiamo interpretato questa "gestualità oculare" ipotizzando che lo spostamento degli occhi consenta al soggetto di "sottrarsi", durante l'esperienza immaginativa, alle sollecitazioni visive provenienti dall'ambiente esterno. Il soggetto "vede" ciò che sta immaginando e per "vedere", riducendo al massimo le interferenze percettive, "sceglie" una zona del campo visivo in qualche modo più "protetta"... spesso gli occhi, in questa operazione si nascondono parzialmente sotto le palpebre superiori. Dunque noi abbiamo ipotizzato che gli occhi siano coinvolti sia nei processi percettivi che in quelli immaginativi visivi e che spesso i due processi sono così ravvicinati tra loro temporalmente da essere quasi simultanei. Per esempio in questo momento io percepisco l’ambiente esterno e "contemporaneamente" "immagino" visivamente, anche se in modo frammentario, l'incontro che avrò in serata con un collega, e poi "ricordo" (cioè immagino sempre visivamente) quanto è successo ieri sera a casa mia... In un lavoro precedente ho sostenuto che immaginazione e percezione s'incontrano nello sguardo.

Nello sguardo e negli occhi che lo compongono si intrecciano funzioni diverse. Queste funzioni possono alternarsi tra loro e in qualche modo convivere.

Un osservatore esterno si accorge facilmente (in grandi linee) se chi gli sta di fronte sta "immaginando" (cioè sta "vedendo" sue rappresentazioni interne) o percependo ciò che è presente nel contesto in cui "attualmente" si trova.

Come fa ad accorgersene? Osservando la "fenomenologia" dello sguardo del soggetto osservato (cfr. Ruggieri, 1987).

Se l'osservatore imparerà con una opportuna pratica a "guardare" gli sguardi, potrà accorgersi di quanto frequenti siano i casi in cui gli attori non pensano (perché non vedono immaginativamente) a quello che dicono. Essi tendono a produrre gesti (e parole che non siano altro che "gesti sonori") staccati dal pensiero e dall'immaginazione.

E' l'immaginazione che produce la parola e non viceversa!

Lo spettatore può percepire anche solo in modo subliminare ed inconsapevole che i processi interni immaginativi sono staccati da quelli interni immaginativi, oppure se tra "immaginazione" e "realtà" si è instaurata una certa coerenza.

Il concetto successivo su cui vorrei soffermarmi è che ogni individuo è pertanto portatore di diversi schemi "espressivi" legati alle "rappresentazioni" immaginative interne di ciò che "si crede o si immagina di essere..." Per esempio se io immagino di essere un "re" e sono convinto della verità di questa mia convinzione immaginativa, automaticamente, quasi senza accorgermene, assumerò una postura ed uno sguardo da "re". Questo non succede solo a teatro ma anche nella cosiddetta vita reale! Se sono convinto di essere uno schiavo (nella vita reale) assumerò una postura da schiavo. Nel caso dell'attore è necessario che egli veda immaginativamente se stesso come un re perché assuma una postura da re. Il "veda immaginativamente" non è qui usato in termini metaforici, ma in termini percettivi concreti. La concretezza è nella evidenza immaginativa e non (o non soltanto) nell'assunzione di una determinata postura. La postura infatti segue l'immaginazione.

Quanto abbiamo fin qui sostenuto è importante ma forse ovvio. Ma non spiega la specificità del teatro. Il teatro è un gioco: in questo gioco, come abbiamo detto, una persona reale finge di essere "altro". Pertanto in lui non possono non convivere i due livelli, le due identità. Ci rendiamo conto che i modi con cui le due identità convivono nell'attore richiederebbero delle analisi approfondite di tipo empirico-sperimentale che speriamo di portare avanti nel nostro laboratorio. Per ora ci soffermiamo su un aspetto particolare del fenomeno e cioè che le diverse identità, per convivere armonicamente, devono occupare spazi e tempi diversi. Talvolta l'identità "reale" dell'attore chiede a quella immaginativa di essere "essenziale", contenuta, non straripante... come se la pregasse di mettersi un pò in un angolo.

In altri termini l'identità immaginativa compare, nella figura dell’attore, come un'identità cui l'attore allude .

L'allusione è tutta in gesti accennati che scaturiscono, automaticamente da un'immaginazione che convive con la realtà. Questa allusione è, ripetiamo, estremamente concreta, gestuale (microgestuale), motoria ma con tempi e modi diversi.

E’ nella capacità di alludere e qualcos’altro che consente il gioco. E' qui che Diderot ha ragione!

Come è noto questo citatissimo e scarsamente compreso autore, ha sostenuto che il grande attore non si identifica pienamente col suo personaggio. Noi abbiamo qui lo spazio per discutere approfonditamente questa convinzione, ma pensiamo che essa sia comprensibile se pensiamo che la doppia identità dell'attore suggerita da Diderot consista nella capacità di collocare nella concreta realtà fisica della scena e dell'attore un universo immaginativo che acquista una forte concretezza attraverso una gestualità allusiva. Speriamo di poter sviluppare ulteriormente il discorso in altra occasione d'incontro!

 

 

*  Professore di Psicofisiologia Clinica presso l’Università "La Sapienza"

 

BIBLIOGRAFIA

Neisser U., Conoscenza e realtà, Bologna, Il Mulino, 1981.

Ruggieri V., Semeiotica dei processi psicofisiologici e psicosomatici, Roma, Il Pensiero scientifico, 1987.

Ruggieri V., Mente-Corpo-Malattia, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1988.

Ruggieri V., On the hypothesized correspondence between perceptual and imagery processes, Perceptual and Motor skills, 73, 827-830, 1991.

Ruggieri V., Immaginazione e Percezione si incontrano nello sguardo, Realtà e Prospettive in Psicofisiologia, n. 5-6, 119-131, 1993.

Ruggieri V., Giona S., Lombardo G., Movimenti oculari e immaginazione corporea, Attualità in psicologia, XII, 1, 41, 1997.

Ruggieri V., L'Esperienza Estetica/Fondamenti psicofisiologici per un'educazione estetica, Armando Editore, 1997.